Stato della birra artigianale italiana attraverso l’analisi di bilancio di un campione di imprese produttrici

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06/12/2016 di movimentobirra

di Gianriccardo Corbo

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PREMESSA

Un po’ per curiosità, un po’ per promuovere il dibattito sul tema di sostenibilità del settore birrario italiano, un po’ per aprire gli occhi a chi produce birra o a chi intende aprire un birrificio nei prossimi tempi, abbiamo deciso di chiedere ad un nostro consulente esperto nel settore di effettuare una analisi dei conti economici di alcune decine di birrifici/brewpub.

La presente analisi non ha lo scopo di essere esaustiva e al 100% rappresentativa della salute delle imprese italiane che producono birra ma ha il solo scopo di fornire un quadro generale del settore sulla base di numeri reali. Ogni altra considerazione non qui esposta è lasciata al lettore. Non vogliamo inondare il settore con pessimismo e disfattismo, ma ci sembrava opportuno, a 20 anni dall’inizio del movimento artigianale fare una analisi discretamente robusta sulla salute dei birrifici italiani.

Dal 2007 al 2015 il numero di birrifici/brewpub/beerfirm è passato da circa 200 a circa 1080 (fonte microbirrifici.org). Nell’istante in cui viene scritto questo articolo il numero di operatori ha raggiunto quota 1.212. Nello stesso lasso di tempo (2007-2015) il consumo di birra non è affatto salito rimanendo stabile sui circa 30 litri di consumo pro capite (fonte: annual report di Assobirra). Ad oggi non ci sono elementi per pensare ad un aumento sostanziale dei consumi da parte degli italiani.

Si è assistito quindi ad un netto e deciso aumento dell’offerta a cui non ha però fatto seguito un adeguato aumento della domanda, ovvero consumi. In sostanza la torta è rimasta la stessa negli ultimi 10 anni ma sono aumentati esponenzialmente le persone che vogliono mangiarsela. Siamo sicuri ce ne sia abbastanza per tutti?

Sono anni che si sentono espressioni quali “il movimento imploderà”, “tra qualche anno spariranno in tanti”, “ne rimarrà soltanto uno”. Frasi sentite da chi bazzica il settore da un po’ ma che sono spesso state dette basandosi su percezioni piuttosto che su dati reali. Vediamo quindi se a pensar male ci si indovina!

Tra consumi stazionari e crescita esponenziale dei micro birrifici, quanto conviene seguire la propria passione, magari nata sul fornello del garage e buttarsi nell’impresa? E per chi questa scelta l’ha fatta anni fa, è stata ed è una scelta vincente sotto il profilo economico?

Al di là di passione e sogni da perseguire è quel numeretto in fondo alla lista dei costi e dei ricavi, delle entrate e delle uscite, che determina l’andamento aziendale, se e come saranno possibili nuovi investimenti, quanto verrà ripagato il lavoro dei soci e non ultimo, le tasse da pagare.

Un’indagine che prenda in considerazione tutti i birrifici artigianali del Paese con dati sarebbe ardua visto che non esiste un database nazionale con dati certificati, uniformi e confrontabili.

Per effettuare la nostra analisi abbiamo quindi dovuto far riferimento ad un campione che speriamo possa essere rappresentativo dell’intera popolazione dei birrifici italiani.

Il campione testato è pari a 50 aziende tra birrifici e brewpub suddivisi così come da schema sottostante:

Categoria range produttivo numerosità campionaria
Birrifici grandi produzione annua superiore o uguale a 6000 hl 9
Birrifici medi produzione annua tra 1200 e 5999 hl 12
Birrifici piccoli produzione annua inferiore a 1200 hl 23
Brewpub senza limiti 6

Considerazioni sul campione selezionato

Il campione dei birrifici grandi si assume essere abbastanza rappresentativo dato che contiene quasi tutti i birrifici artigianali che producono più di 6000 hl annui. Mentre non è stato difficile reperire i bilanci di birrifici categorizzati come medi e grandi, è stato invece molto complicato e dispendioso ottenere i bilanci dei piccoli birrifici dato che la gran parte dei birrifici che producono meno di 1000 hl /anno è spesso una società di persone che non hanno l’obbligo di depositare il proprio bilancio. Riteniamo quindi che la fascia dei piccoli birrifici dovesse essere maggiormente rappresentata in questa analisi dato che gran parte dei birrifici italiani appartiene a tale categoria. La media produttiva dei micro italiani si attesta infatti all’incirca sui 600hl annui.

Il campione dei Brewpub è invece molto piccolo ed anche il più eterogeneo. Per ottenere dati rappresentativi da questa categoria sarebbe necessario aumentare molto la numerosità campionaria. Così come per i birrifici piccoli, anche per i brewpub è stato abbastanza difficile potere reperire bilanci pubblici (sono spesso società di persone). Per onestà nei confronti dei dati esposti, ci sentiamo di evidenziare che le statistiche qui effettuate a carico dei brewpub rappresentano delle tendenze, degli andamenti ed è probabile che non siano rappresentative dell’intera categoria.

Le beefirm non sono state considerate poiché dopo estenuanti ricerche siamo riusciti a recuperare solo il bilancio di 2 di esse e abbiamo preferito non presentare i dati.

FONTE DEI DATI

Bilanci: Sono stati scaricati dal Registro delle Imprese tenuto presso le Camere di Commercio al quale le società di capitali, consorzi e cooperative devono obbligatoriamente trasmettere i propri dati contabili annuali. I bilanci fanno riferimento per la quasi totalità al 2015 e sono relativi ad aziende del settore attive da almeno 3 anni

Volumi produttivi annui (ettolitri): preso dalla guida alle birre d’Italia 2017 le cui capacità produttive ivi riportate sono autodichiarate dagli stessi birrai in sede di intervista e fanno riferimento all’anno 2015

Numero dipendenti: INPS

VALORI PRODUTTIVI

Questi i dati complessivi del campione testato per ciò che concerne i volumi produttivi annui in termini di ettolitri:

Tab .1
Valori Medi (ettolitri)
Classificazione Media di Produzione annua (hl) Min di Prod/anno Max di Prod/anno
Grande 11.167 6.000 25.000
Medio 2.542 1.500 3.700
Piccolo 731 400 1.000
brewpub 792 600 1.200
       

VALORE DELLA PRODUZIONE

Nelle tabelle sottostanti troviamo i dati relativi al valore della produzione. Il valore della produzione rappresenta i ricavi annuali derivanti dalla vendita dei prodotti, comprese le rimanenze di magazzino ed esclusa l’iva, che per il produttore non è un ricavo (e neanche un costo).

Tab. 2

Valori medi
Classificazione Valore medio della produzione (€) Min di Val. Prod

(€)

Max di Val. Prod (€)
Grande 2.706.651 1.007.224 6.790.127
Medio 922.143 352.977 2.090.481
Piccolo 259.204 136.222 432.919
brewpub 466.445 193.337 965.084

 

Tab. 3

Valori medi
Classificazione Valore della produzione (€) Ricavo medio per hl (€) Min di Ricavi medi per hl (€) Max di Ricavi medi per hl (€)
Grande 2.706.651 249 144 375
Medio 922.143 346 204 633
Piccolo 259.204 352 227 541
brewpub 466.445 569 258 954

Come si evince dalle tabelle 2 e 3, le aziende più grandi vendono mediamente il loro prodotto ad un valore più basso, circa 249 euro per hl. E’ un prezzo al quale evidentemente si riesce a rimanere sul mercato perché si sfruttano meglio le economie di scala, cioè quel vantaggio che deriva dal poter spalmare i costi fissi e variabili su un maggior volume di birra prodotta.

I birrifici medi come prevedibile, potendo sfruttare in misura minore l’economia di scala, per risultare concorrenziale deve necessariamente vendere la propria birra ad un prezzo superiore (346€/ hl). Il birrificio piccolo riesce a ricavare da un ettolitro praticamente la stessa cifra (352€ /hl) dei birrifici medi. Una spiegazione potrebbe essere che chi è piccolo, per rimanere sul mercato, è costretto a praticare prezzi concorrenziali almeno ai birrifici di media grandezza. Questo potrebbe rappresentare un grosso errore se l’imprenditore del birrificio piccolo non trova il modo di tenere i costi bassi poiché c’è il concreto rischio che finisca per vendere sotto costo il proprio prodotto con l’intento di “sopravvivere” e rimanere concorrenziale. Vedremo dopo se è così quando analizzeremo i costi.

La classifica della migliore resa per ettolitro spetta ai brewpub che, abbattendo i passaggi degli intermediari riescono a vendere la birra sicuramente ad un prezzo medio più alto. Va però considerato che i ricavi di un brewpub sono fortemente “sporcati” dalla componente ristorazione e non derivano solo dalla vendita di birra. Quindi attenzione a non fare l’errore di comparare, se non per diletto, il dato dei brewpub con quello dei birrifici.

FINANZIAMENTI

Bene. Abbiamo le idee, sappiamo come fare la birra, forse a chi venderla… ma dove prendo i soldi?

Come per la birra, ci vuole equilibrio e un buon mix di fattori, un’impresa sana dovrebbe bilanciare il ricorso alle banche con il capitale proprio a seconda della tipologia di investimenti che andrà a fare evitando di indebitarsi eccessivamente.

Il patrimonio netto è costituito dal capitale proprio (quota inizialmente investita dai soci) più gli utili prodotti (o le perdite) registrati nei vari anni. I capitali propri sono quote difficilmente smobilizzabili e possono essere rappresentati sia da denaro che da beni. Chi effettua questo tipo di investimento deve sempre considerare due fattori:

– Si tratta di un investimento a lungo termine;

– È soggetto al rischio di impresa: il capitale rappresenta la capacità dell’azienda di far fronte alle obbligazioni (cioè al pagamento dei debiti) e può subire riduzioni a seguito delle perdite riportate dalla gestione.

I debiti verso soci sono somme che il socio conferisce in azienda ma non a titolo di capitale (quindi soggetti a rischio di impresa) ma come un vero e proprio prestito, anche se infruttifero, quindi teoricamente rimborsabile.

La tabella 4 ci mostra le fonti di finanziamento delle 3 categorie di birrifici (valori medi). Ovviamente tutte le voci decrescono al decrescere della dimensione d’azienda.

Tab. 4

Valori medi
Etichette di riga Debiti verso soci (€) Debiti verso banche (€) Patrimonio Netto (€)
Grande 219.214 910.010 661.401
Medio 128.710 225.744 159.744
Piccolo 177.927 127.643 39.208
brewpub 314.619 141.394 31.145

Dalla tabella 5 si nota che il ricorso alle banche (debiti bancari) è direttamente proporzionale alla grandezza del birrificio. Si va da un’incidenza del 56% sul totale delle fonti di finanziamento (mezzi propri+debiti bancari+debiti v/soci) per i birrifici grandi, passando per il 42% per quelli medi, per arrivare al 32% per quelli piccoli. La maggior incidenza dei debiti bancari sui birrifici grandi si può giustificare col fatto che una azienda più grande richiede investimenti importanti e in generale una struttura più complessa necessita di un maggior ricorso al credito bancario. Inoltre, come spesso capita alle imprese italiane di piccole dimensioni, l’accesso al credito bancario è sicuramente meno facilitato per chi è piccolo.

Tab. 5

Valori medi
Etichette di riga Debiti Banche/Tot fonti finanziamento (%) DEBITI SOCI/Tot fonti finanz (%) PN/Tot fonti finanziamento (%)
Grande 56,08 4,42 37,62
Medio 47,71 12,45 32,37
Piccolo 32,39 29,28 22,26
brewpub 45,97 36,83 6,11

* patrimonio netto (PN): capitale apportato + riserve di utili non distribuiti

Da notare che il prestito soci ( o in alcuni casi sporadici da terzi) è invece inversamente proporzionale alla grandezza del birrificio. I birrifici piccoli, a fronte di un minor ricorso agli istituti di credito, fanno affidamento in larga parte al prestito soci. Questa forma di sostentamento all’azienda potrebbe trovare giustificazione le fatto che le piccole realtà, come detto, hanno un accesso al credito bancario più limitato e devono trovare vie alternative per garantire lo svolgimento delle attività aziendali, oltre al fatto che hanno un patrimonio netto basso(soci che partecipano con capitale) attorno al 22% .

Per le imprese brassicole, l’attivo di bilancio è costituito generalmente e in larga parte dall’impianto di produzione e in alcuni casi dalla proprietà dello stabilimento. Questo in gergo si chiama attivo immobilizzato, ovvero beni di uso durevole destinati ad essere utilizzati dall’azienda per più anni. Il totale attivo è costituito dall’attivo immobilizzato + l’attivo circolante (come le rimanenze di magazzino, i crediti verso i clienti e le liquidità).

Tab. 6

Valori medi
Etichette di riga Attivo Immobilizzato (€) totale attivo (€)
Grande 1.344.721,33 2.742.049,00
Medio 265.720,17 756.435,25
Piccolo 285.308,38 448.214,88
brewpub 440.162,85 596.519,83

Dalla tabella 6 si nota una grande differenza tra i grandi birrifici e i medi/piccoli. Ciò è fondamentalmente dovuto al fatto che i primi, oltre ad avere impianti più grandi e costosi, spesso hanno anche uno stabilimento produttivo di proprietà a differenza dei secondi che generalmente prendono in locazione l’immobile produttivo.

REDDITIVITA’

Ma quanto, parlando prosaicamente, conviene fare birra? Quando si parla di convenienza economica nell’attività d’impresa i fattori da prendere in considerazione sono diversi. Essere in utile è sicuramente positivo ma non esaurisce il concetto di “redditività d’impresa”.

Il reddito che ne deriva deve remunerare:

1)      Il capitale investito in maniera adeguata, cioè ad un tasso di rendimento che non sia troppo basso perché si tratta di somme soggette a rischio di impresa. Tradotto: se faccio un investimento a rischio devo anche pormi l’obiettivo che il ritorno dell’investimento sia sostanzioso altrimenti perché rischiare tanto per ricavare poco?!

2)      L’eventuale lavoro svolto dal socio nell’attività di gestione.

Per valutare quanto detto al primo punto si può far ricorso ad un indice denominato ROE (return on equity) che mette in relazione l’utile con il capitale investito e che indica la percentuale di guadagno da parte dei soci per il capitale apportato (dettagli riportati in tabella n.8).

Questo indice è utile sia confrontato nei vari anni di attività delle stessa impresa sia da raffrontare con le altre imprese del settore per capire come ci si posiziona all’interno del proprio comparto.

Per ciò che concerne il secondo punto, la valutazione non è così immediata. Dipende dagli accordi tra soci e tra soci e azienda, dalla quantità e continuità del lavoro prestato e dalla tipologia contrattuale della prestazione.

Come si vede dalla tabella 7, gli utili aumentano all’aumentare del volume di produzione così come ci si aspetterebbe. L’utile dei birrifici medi/piccoli risulta molto risicato anche se il campione selezionato presenta forte eterogeneità per cui non è escluso che questi possano differire (anche se non di molto) se analizzassimo un campione più ampio. In sostanza, si guadagna poco! Nel campione dei birrifici piccoli sono in tantissimi ad essere in perdita, molti ricavano e qualche migliaio d’euro e solo pochi hanno un utile che possa far pensare ad un sano sostentamento. Una media di 8.462€ è comunque molto bassa, sinonimo di una categoria in difficoltà. Ricordiamo che stiamo parlando di aziende che hanno acome minimo 3 anni di vita e che dovrebbero avere a distanza di anni una posizione più solida.

Da notare inoltre l’alta incidenza delle imposte rispetto all’utile finale. Ma in Italia… si sa.

Tab. 7

Valori medi
Etichette di riga Valore produzione (€) Costi produzione (€) Imposte (€) Utile (perdita) annua (€) Reddito operativo (€)
Grande 2.706.651 2.555.801 33.560 66.267 150.850
Medio 922.143 882.412 15.362 12.418 39.731
Piccolo 259.204 243.537 1.548 8.462 15.667
brewpub 466.445 458.496 1.995 -11.326 7.948

La tabella 8 riporta uno degli indicatori principali della redditività di una impresa, il ROE (ovvero la percentuale di utili rispetto al capitale apportato in azienda). In sostanza, ogni 100€ investiti se ne ricavano 17 (birrifici grandi), 13 (medi), 24 (piccoli).

Tab. 8
Valori medi
Etichette di riga Patrimonio netto (€) Utile (perdita) annua (€) Media di ROE (€)
Grande 661.401 66.267 17,35
Medio 159.744 12.418 13,20
Piccolo 39.208 8.462 24,32
brewpub 31.145 -11.326 * -11,63

I numeri che vedete non devono far gridare al miracolo: il fatto che nonostante margini più o meno risicati, ci siano indici ROE a 2 cifre sta a significare che il capitale investito è basso. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei piccoli birrifici che hanno una patrimonializzazione media (capitali dei soci) del 22%.

Altro indicatore utile che esprime la redditività di una azienda è il MOL (margine operativo lordo) che rappresenta quello che rimane dei ricavi dopo aver sostenuto tutti i costi strettamente inerenti la produzione di birra (cioè materie prime, personale , utenze, affitti). Come si vede dalla tabella 9, su 100€ di ricavi i grandi birrifici ne guadagnano 24€ , i medi 18€, i piccoli 23€. In realtà le piccole hanno un’incidenza minore delle spese del personale,come si vede nella tabella sotto riportata, che su valori così piccoli, fanno la differenza in termini percentuali.

Tab. 9
Valori medi
Etichette di riga Media di MOL Media di Valore della produzione Media di MOL/Val Prod
Grande 702.081 2.706.651 24,00
Medio 171.048 922.143 18,11
Piccolo 57.004 259.204 23,37
brewpub 66.729 466.445 15,92

COSTI

La tabella 10 mostra come il costo delle materie prime rispetto ai costi totali incida allo stesso modo per tutti i comparti (32-37%) mentre l’incidenza dei costi del personale è inferiore nelle piccole realtà che fanno meno ricorso al personale dipendente e più al lavoro dei soci.

Tab 10

Valori medi
Etichette di riga Totale Costi della produzione (€) Costi materie prime (€) Costi per personale (€) Costi materie prime/costi produzione (%) costi personale/costi produzione (%)
Grande 2.555.800 879.322 381.062,67 35,15 15,45
Medio 882.411 290.626 129.594,00 32,32 15,65
Piccolo 243.536 88.821 31.948,57 37,09 11,45
brewpub 458.496 166.065 117.458,83 36,67 20,62

Costi del personale

Come potete notare dalla tabella sottostante, il costo medio del personale è abbastanza basso: considerate che il dato che vedete comprende non solo il salario percepito dal dipendente ma anche tutti gli oneri accessori, come l’Irpef versato dal datore di lavoro, i contributi INPS, le addizionali etc.

Tab. 11

birrificio/brewpub Costi personale (media) (€) numero medio di dipendenti costo medio dipendente (€)
Grande 381.062,67 14,00 27.218,76
Medio 129.594,00 5,00 25.918,80
Piccolo 22.686,67 1,20 18.905,56
Brewpub 117.458,83 6,10 19.255,55

Non avendo dati analitici a disposizione, non sappiano se questo dipenda dall’utilizzo di manodopera a tempo parziale o da inquadramenti contrattuali molto bassi o da entrambi i fattori.

Con questi numeri, viene da pensare che nei costi del personale non siano compresi quelli dei soci lavoratori e che pertanto l’utile netto di esercizio non rappresenti solo la remunerazione del capitale ma anche quella del socio lavoratore. Il che non depone a favore dell’andamento generale del settore.

IL PESO DELL’ACCISA

Prendendo sempre in esame il campione di birrifici selezionati vediamo come l’accisa pagata nel 2015 rappresenta una quota considerevole se la si rapporta ai ricavi non certo soddisfacenti dei birrifici. Ne hanno la peggio ovviamente i birrifici piccoli che gioverebbero in maniera sostanziale, forse vitale, di una netta diminuzione di tale tassa.

Tab. 12

Gruppo hl medi annui prodotti accisa pagata*

(stima approssimativa) (€)

risparmio accisa come da proposta di Unionbirrai (€)
Birrifici grandi 11.167 407.372 203.686 (-40%)
Birrifici medi 2.542 92.732 46.366 (-50%)
Birrifici piccoli 731 26.667 13.333 (-50%)
Brewpub 792 28.892 14.446 (-50%)
* 3,04€/hl/grado plato. si assume per il calcolo un grado platomedio pari a 12

 Noi auspichiamo un netto taglio dell’accisa ovviamente. Aiuterebbe il comparto fatto di piccolissime imprese ad avere un po’ più margine che potrebbe essere impiegato per assumere personale, per fare investimenti o più in generale a continuare ad esistere sul mercato. Impensabile al momento sperare che il taglio dell’accisa possa scaturire in una diminuzione dei prezzi della birra alla mescita.

CONCLUSIONI

Il quadro descritto appare quindi abbastanza desolante. Il comparto della birra artigianale italiana è grande solo dal punto di vista del numero dei soggetti in gioco e non per il volume di produzione degli stessi. Come dicevo all’inizio di questo articolo la torta è la stessa da anni e a dividersela sono sempre più soggetti. Ogni nuovo birrificio che nasce toglie ossigeno agli altri senza creare un grosso valore aggiunto o prendersi nuove quote di mercato. Gli utili delle aziende prese in considerazione in questa analisi sono mediamente così bassi da non giustificarne la sopravvivenza. L’esposizione verso banche o verso soci è in media molto alta e chi investe capitali pensando di investire in un “buon business” spesso non rientra del suo investimento come auspicabile.

I birrifici piccoli che non possono contare su una economia di scala favorevole fanno fatica ad affermarsi su un mercato che avvantaggia chi è più grande. Tantissimi nel tentativo di rimanere concorrenziali abbassano i loro prezzi di vendita col risultato che alla fine non si ha margine per sopravvivere. Il costo del lavoro, degli affitti, le tasse, la burocrazia asfissiante sono i fattori additati. Dai bilanci appare chiaro che molti soci-lavoratori non riescono a ricavarsi uno stipendio degno di questo nome; chi ha investito come socio non vede ritorno negli utili e chi, più in generale, lavora nel comparto ha in medio uno stipendio molto basso. Il quadro cambia un po’ in positivo quando si va sui birrifici di grandi dimensioni ma certo non si grida al miracolo (sempre in media).

Ci chiediamo quindi come facciano molti birrifici “a campare”! La sensazione è che molti soggetti vadano avanti con la speranza che la situazione possa migliorare ma nel frattempo i debiti aumentano o, quando va bene, si chiude un bilancio in pareggio senza distribuire uno straccio di utile. Purtroppo la speranza non è una strategia.

Ma qual è l’origine del problema? I fattori sono molteplici ma almeno due sono i principali: 1) troppe persone hanno pensato (o forse sperato) che quello della birra fosse un business facile e remunerativo senza accorgersi che il mercato è ormai saturo; 2) Molti di coloro che si sono buttati in un’avventura di impresa l’hanno fatto senza avere adeguata esperienza e/o capacità organizzative. In sostanza sono in molti che non hanno saputo farsi i conti. Quindi poca strategia, poca programmazione mista a inesperienza. Mix letale di ingredienti per qualsiasi impresa. Questo è il profilo medio dell’imprenditore birrario italiano ma non è tutto così nero. Non mancano gli esempi di buona gestione ma è pur vero che, almeno prendendo in considerazione il solo campione analizzato, i bravi imprenditori si ritrovano solo tra i grandi birrifici e solo in minima parte tra i birrifici di medie dimensioni. Tra i piccoli invece si fa molta difficoltà ad individuare imprenditori in grado di far quadrare i conti o che mostrino adeguata preparazione.

Si può essere ottimisti per il futuro? Non vogliamo giocare a fare gli indovini per cui non ci addentriamo in previsioni azzardate. Certo è che la situazione così come è adesso non è sostenibile. Dal nostro punto di vista per poter sperare in una miglior salute del comparto dovremmo assistere ad almeno una o più delle seguenti condizioni:

1)  Il consumo di birra pro-capite dovrebbe salire in modo tale da dare un po’ di sfogo all’offerta. Ma come detto i consumi sono al palo da anni. Improbabile, soprattutto se i costi della birra al consumo rimangono gli stessi. E’ un cane che si morde la coda.

2) Puntare in misura maggiore sul mercato locale per evitare di ricorrere a distributori e aumentare i margini di guadagno. Se possibile (e senza dissanguarsi) avere un pub di proprietà in cui effettuare vendita diretta della birra aiuterebbe ad incrementare i margini di guadagno.

3) In antitesi o in associazione a quanto detto al punto 2, i birrifici potrebbero inoltre puntare a nuovi mercati più ricettivi di quello italiano. Ad oggi sono pochi i birrifici che oltrepassano i confini nazionali con i propri prodotti. Farlo non è semplice dato che anche all’estero la concorrenza è spietata e i microbirrifici nascono come funghi un po’ ovunque. I mercati di largo consumo (Germania e Repubblica Ceca giusto per fare degli esempi) sono particolarmente arroccati sul consumo di prodotti nazionali e non sono ancora molto aperti a birre straniere (anche perché la birra nazionale è veramente a buon mercato). Noi dovremmo essere in grado di far valere il nostro made in Italy ma anche il made in Italy va saputo presentare dato che non si vende da solo. L’Italia della birra che si vende all’estero è quella che è capace di raccontare (vendere) una storia, che è in grado di rappresentare l’unicità di un territorio, che si differenzia per l’inventiva straordinaria di molti artigiani italiani. Certo non possiamo andare a vendere pils ai Cechi.

4) Bisogna individuare nuovi canali distributivi: i supermercati per esempio. Oggi è un mercato in parte osteggiato e mal visto. Quando una artigianale arriva sugli scaffali di un supermercato i fan insorgono su Facebook come un napoletano che ha visto Higuain andare alla Juve. Nulla di male dal nostro punto di vista; da consumatore vorrei vedere (SE ben tenute) birre artigianali in supermercato. Aiuterebbe il consumatore medio ad entrare più in contatto con il prodotto e aiuterebbe i birrifici a incrementare la produzione. Certo non è semplice, i supermercati vogliono forniture sostanziose a prezzi bassi e non tutti sono in grado di “starci dietro”.

5) Puntare su strategie di marketing strutturate

6) I birrifici dovrebbero essere in grado di fare comparto avendo bene in mente cosa fare e come farlo. Bisognerebbe per esempio trovare il modo di entrare nelle istituzioni facendo valere le dimensioni di un comparto che però oggi non ha un peso di smuovere “coscienze” tra le istituzioni.

7) In extremis, ahimè, una netta diminuzione del numero di birrifici darebbe forse ossigeno vitale (quote di mercato) ai superstiti che si rinforzerebbero e consoliderebbero la loro posizione. In questo modo si potrebbero creare le condizioni per osservare anche una diminuzione dei costi della birra al consumo… forse. Noi ci speriamo!

Se leggi questo articolo e stai pensando di aprire un birrificio, ci dispiacerà se pur avendo le capacità imprenditoriali desisterai dal farlo. Per contro, se già avevi qualche dubbio, se non sai da dove si comincia per portare avanti una azienda in salute e desisterai dall’aprire un birrificio, allora questo articolo ha colto nel segno. Da parte nostra c’è l’invito a farti bene i conti, a non farti accecare dalla cosiddetta passione, a programmare come i tuoi passi, ad avvalerti di consulenti, a capire il mercato in cui ti vuoi inserire. La potenza è nulla senza controllo (cit). In bocca al lupo!

2 thoughts on “Stato della birra artigianale italiana attraverso l’analisi di bilancio di un campione di imprese produttrici

  1. ALBERTO ha detto:

    L’unica realtà imprenditoriale che potrebbe avere senso in questo periodo potrebbe essere solo il Brew Pub.

  2. Stefano ha detto:

    Tutti i birrifici si contendono il 2% del mercato, quando rimane il 98% in mano all’industria. Per rosicare quote da questo enorme serbatoio di consumatori, bisogna fare birra semplice, che piaccia alla maggior parte dei consumatori, che costi poco e che sia presentata come una birra e non come un vino pregiato. I birrai potrebbero ottimizzare le produzioni, stando attenti ai consumi energetici, idrici, recuperando la co2 e tutto quanto è possibile recuperare, come ad esempio le soluzioni detergenti. Invece nei birrifici Italiani c’è pochissima ottimizzazione e tantissimo spreco. A livello commerciale il guadagno non sta nella produzione ma nella distribuzione e poi bisognerebbe sfruttare tutto ciò che può offrire una piccola produzione, in termini di personalizzazioni e packaging. Tutto ciò che è riportato nell’articolo è corretto, ma le vere potenzialità di un birrificio artigianale non sono nemmeno state sfiorate a cominciare dal valore del fare cultura birraria, invece i birrifici Italiani sono la fotocopia l’uno dell’altro. In sostanza c’è ancora molto da fare e molto spazio di manovra, ma solo per chi oltre alla passione, ne ha le competenze.

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